Legislazione Antimagnatizia.

Cartina dell'Italia

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Dizionario di storia

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ANTIMAGNATIZIA, LEGISLAZIONE

Ordinamenti e statuti contro la nobiltà promulgati nell'ultimo ventennio del XIII secolo nei comuni italiani governati dal popolo (a Bologna e Pistoia nel 1282, a Firenze nel 1293). Le famiglie del vecchio ceto dominante, se comprese negli elenchi dei magnati, venivano escluse dalle cariche pubbliche

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NOBILTÀ

Gruppo sociale i cui membri godono di determinati privilegi e portano titoli che li distinguono dalle altre componenti della società. Fu una componente di importanza straordinaria nella storia culturale, economica e politica europea a partire dal X secolo. In tale periodo essa assunse i caratteri di una élite militare che rivestiva pure una indiscussa funzione politica e un ruolo di primo piano nella vita economica. La proprietà della terra, assieme all'ereditarietà, erano elementi costitutivi della nobiltà, che rappresentavano insieme il fulcro della sua ricchezza e il fondamento delle sue funzioni di governo. La concessione e il possesso di feudi definivano infatti il nobile quale detentore di un potere giurisdizionale e come parte di una rete vassallatica che aveva al vertice il sovrano. Dal XV secolo la storia della nobiltà si incrociò con i processi di formazione degli stati moderni, i quali, pur mantenendo le strutture feudali e riconoscendo onori e privilegi alla nobiltà, tesero a rafforzare gli organi centrali del potere a danno delle giurisdizioni particolari di cui i nobili erano titolari. Essi furono pertanto costretti a ridisegnare il proprio ruolo all'interno della società (la vita di corte e l'esercizio di alte cariche burocratiche furono l'ambito di azione più praticato) e a ridefinire le qualità intrinseche e indispensabili dell'essere nobile. Più che le capacità guerriere e l'esercizio di funzioni giurisdizionali, la stirpe, la virtù, l'onore, le ricchezze (specie quelle fondiarie) e i sistemi di trasmissione ereditaria (fedecommesso) individuarono sempre più, specie tra Cinquecento e Seicento, il nobile. Queste qualità ne fecero un costante punto di riferimento per le strategie di ascesa sociale dei ceti borghesi e intellettuali. Pur presentando molteplici elementi unificanti, come un particolare tipo di ideologia (cultura nobiliare) o le strategie familiari simili e convergenti, non mancarono gli aspetti di differenziazione che rendevano la nobiltà cortigiana francese non omologabile a quella burocratica prussiana, a quella spagnola e polacca o ai patriziati urbani italiani e tedeschi. La Rivoluzione francese costituì un duro colpo per la nobiltà e per l'ideologia che ne sosteneva la preminenza sociale; essa tuttavia fu ripristinata, anche se in forme nuove, da Napoleone e poté conservare per tutto l'Ottocento la propria influenza in molti paesi d'Europa. In Italia l'avvento della repubblica portò alla fine del riconoscimento giuridico dei titoli nobiliari.

MAGNATE

Categoria di cittadini contrapposta agli organismi di popolo dominanti nei comuni podestarili italiani dal Duecento. Tratto distintivo ne era la potenza militare e lo stile di vita nobiliare. Furono spesso oggetto di bandi specifici (liste antimagnatizie) che li allontanarono dalle cariche politiche sinanche dalle singole città. Identico appellativo fu dato ai grandi proprietari terrieri del Regno d'Ungheria

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FEDECOMMESSO

Istituto di diritto successorio che obbliga l'erede a trasmettere tutta o parte dell'eredità a un'altra persona (fidecommissario) dopo la morte dell'erede designato (istituito). Di origini romane, serviva soprattutto a favorire i minorenni o comunque i successori giuridicamente incapaci di ricevere e di conservare particolari beni all'interno della famiglia. Mantenutosi in età medievale, a partire dal XVI secolo tese a generalizzarsi fra i ceti dominanti fino a divenire una componente essenziale della società aristocratica di ancien régime. Negli stati italiani preunitari il fedecommesso generalmente non bloccava subito l'intera proprietà della famiglia in quanto veniva istituito sui beni mobili come censi e crediti e sulle case, innanzitutto sul palazzo di famiglia, espressione dell'identità e della continuità familiare. Solo in un secondo momento, con la tendenza a generalizzare il ricorso al diritto di primo genitore, il fedecommesso si estese a tutti i beni della famiglia. Conseguenza di ciò divenne la precisa e pignola definizione dei passaggi successori che, in ogni caso, escludevano le donne. La volontà del fondatore regolava tutta la complessa vicenda del fedecommesso: gli eredi non erano che usufruttuari di una serie di beni che dovevano trasmettere integri ai propri successori. Ma non sempre questi erano in grado di ottemperare alle disposizioni dei fondatori e le continue richieste alle autorità di consentire una piena disponibilità dei beni fedecommessi testimoniano delle difficoltà alle quali andavano incontro gli usufruttuari. Mentre tra XVII e XVIII secolo si irrigidivano le disposizioni in materia, anche nella comune opinione il fedecommesso apparve sempre più una garanzia del senso di identità, anche culturale, di una famiglia e una tutela dei beni che gli erano necessari a mantenere un ruolo consono al suo rango, ma altresì un ostacolo insuperabile a un diverso e più proficuo impiego dei patrimoni nobiliari. Vi si ricorse quindi sempre di meno nelle strategie successorie e negli anni del dispotismo illuminato esso fu sottoposto ad attacchi sempre più stringenti da parte dei sovrani europei. Nel granducato di Toscana come in Piemonte e a Modena furono promulgate leggi che ne limitavano l'uso. Soppressi in Francia dalla Rivoluzione, i fedecommessi vennero aboliti in Italia nel periodo napoleonico. Non bastò a rivitalizzarli la ripresa che di quell'istituto fu fatta nel corso della Restaurazione.

Ordinamento.

L'atto di ordinare; operazione, o insieme di operazioni, mediante cui si dà ordine a qualche cosa.

║ L'effetto dell'ordinare; il modo con cui un ente o un insieme di enti è ordinato, disposto, oppure organizzato e regolato nel suo funzionamento.

║ Insieme di norme che ordinano e disciplinano una determinata istituzione o attività.

║ Nel diritto italiano comunale, al plurale, nome di particolari statuti riguardanti specifiche materie.

║ Istituzione con una sua organizzazione stabile e ben definita.

- Dir.

- Tre sono le principali teorie riguardanti l'o. giuridico. Secondo la teoria normativa, il cui maggiore esponente fu H. Kelsen, esso è definibile come un complesso di norme giuridiche positive generali (leggi) o individuali (sentenze), ordinate secondo un principio normativo fondamentale. La teoria istituzionale, sostenuta in modo particolare da S. Romano, lo identifica con l'istituzione, cioè con un ente reale che viene a coincidere con il diritto oggettivo. Infine la teoria del rapporto di A. Levi, considera l'o. giuridico come un sistema di rapporti giuridici. Lungi dall'escludersi l'una con l'altra, queste diverse teorie sono fra di loro complementari; infatti per l'esistenza dell'o. giuridico sono necessari: 1) una collettività che riconosca un'autorità, la quale disciplina i rapporti fra gli individui, in modo da proteggere e accrescere la collettività stessa; 2) una condizione di uguaglianza giuridica tra i membri della collettività; 3) una condizione di conflittualità fra le volontà dei membri della collettività, basata su una diversità di interessi particolari. I conflitti di interesse che ne sorgono vengono regolati dall'autorità che agisce da mediatrice, emanando leggi o sentenze giudiziarie, tramite cui viene tutelato l'interesse prevalente e certi comportamenti vengono di conseguenza autorizzati, impediti, o resi obbligatori. All'interno dell'o. giuridico sovrano gravitano o. giuridici minori o semiautonomi (pluralità degli o. giuridici), ossia quelli delle collettività organizzate secondo particolari norme interne, che trovano il loro limite, oltre che nei principi derivanti dalla natura e dal tipo dei rapporti fra i loro appartenenti, anche nei principi in cui si muovono e operano. Sono o. giuridici riconosciuti sul piano del diritto costituzionale e civile: la famiglia come comunità organizzata nei suoi rapporti da un'autorità identificata nei genitori; l'impresa come aggregato organizzato nei suoi rapporti di lavoro dall'autorità dell'imprenditore; e in genere gli altri enti o istituzioni comunque riconosciuti come o.

- Dir. internaz.

- L'o. giuridico internazionale è formato dal complesso di disposizioni e di principi che, regolando i rapporti della comunità internazionale, costituiscono le norme di valutazione del comportamento dei membri della comunità stessa. In quanto non derivante da nessun altro, l'o. internazionale è un o. originario. Dall'o. giuridico internazionale così inteso, si distinguono gli o. giuridici internazionali speciali, quelli cioè che regolano la formazione e la vita di comunità particolari, sorte all'interno della comunità internazionale generale. Tali sono, ad esempio, gli o. delle Nazioni Unite, dell'Organizzazione degli Stati americani, della NATO, ecc. La relazione fra l'o. internazionale e i singoli o. interni è caratterizzata da reciproca distinzione e autonomia.

Statuto.

(dal latino statutum: ciò che è stato stabilito). Ciò che, in quanto disposto e deliberato da un'autorità, acquista valore normativo.

║ Nel Medioevo, l'insieme organico di leggi e di consuetudini giuridiche preposte al funzionamento e alla regolazione di enti statali o comunque di pubblica utilità o interesse. Anche l'atto ufficiale e formale in cui sono redatti tali principi fondamentali inerenti all'organizzazione di istituti o associazioni: s. della corporazione dei lanaioli.

║ In età moderna, il documento legale e ufficiale con l'emanazione del quale il sovrano di uno Stato monarchico rendeva espliciti e vincolanti i principi ordinatori dello Stato medesimo, dei suoi organi di Governo, nonché dei diritti e dei doveri dei cittadini. L'esistenza di un tale s. conferiva a una Monarchia il carattere di costituzionale. Di questo tipo fu lo Statuto albertino, che fu anche la prima Costituzione del Regno d'Italia (V. OLTRE).

║ Nell'ordinamento amministrativo italiano, tutti gli enti territoriali (regioni, province e comuni) devono attivare un proprio specifico s., che regola e determina la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti; l'esercizio del diritto di iniziativa e di referendum relativi agli atti giurisdizionali delle regioni; l'organizzazione e il funzionamento del Consiglio e della Giunta regionali; le funzioni amministrative da delegare o trasferire tra i vari enti locali del medesimo territorio; la condizione giuridica ed economica di dipendenti e funzionari, ecc. Tali s. sono adottati dai singoli enti mediante approvazione, con maggioranza assoluta dei voti; per quanto riguarda le regioni, essi devono essere ratificati da una legge dello Stato.

║ In ambito internazionale, accordo plurilaterale con valore giuridico inteso non solo a disciplinare (in termini più o meno provvisori) i rapporti tra gli Stati firmatari, ma anche a regolare tra questi una cooperazione di carattere permanente: S. delle Nazioni Unite.

║ Complesso di norme che regolano la struttura di una certa attività scientifica: s. epistemologico delle scienze matematiche.

║ Come calco dell'omologo francese statut, la condizione socio-politica di un determinato gruppo umano: s. delle donne lavoratrici.

S. dei lavoratori: V. LAVORATORI, STATUTO DEI.

- Encicl.

- Durante il primo Medioevo, mentre il termine lex indicava la norma emanata dall'organo primario dell'ente statale (cioè, di solito, dal re), statutum indicava tecnicamente le deliberazioni di organi secondari in merito alle singole attività o compiti cui erano preposti (consigli, corporazioni, ecc.). In età comunale il vocabolo passò a definire prima le singole decisioni a carattere vincolante e permanente dei consigli comunali, poi il corpus organico delle stesse. Negli s. comunali confluivano da un lato il diritto consuetudinario che si era progressivamente formato durante l'Alto Medioevo, dall'altro le cosiddette promissioni, cioè i giuramenti che i magistrati in carica formulavano nei confronti del popolo e gli impegni che i cittadini si assumevano in risposta ad essi, e ancora infine le deliberazioni vere e proprie del Consiglio o degli organi minori della città. Le compilazioni statutarie cominciano a essere attestate con una certa frequenza a partire dal 1180, epoca detta podestarile, ma una piena fusione e sistematizzazione delle tradizioni normative che esse raccolsero si ebbe solo intorno ai secc. XIII-XIV. In quel periodo in molti Comuni si prevedevano anche apposite commissioni (dette degli statutari) per il continuo aggiornamento e revisione degli s. In alcuni casi, tuttavia, diritto consuetudinario e deliberativo vennero ordinati in raccolte distinte: a Pisa, ad esempio, erano in vigore il constitutum usus e il constitutum legis. La funzione prioritaria degli s. era comunque quella di integrare sul piano locale la legislazione basata sul diritto romano: benché infatti quest'ultimo fosse stato ristabilito come referente giuridico teorico e generale nell'ambito di tutto l'Occidente, si era subito evidenziata la sua carenza in merito alla soluzione dei problemi e dei contenziosi di carattere locale o inerenti alla quotidianità della società del tempo. Gli s. assolvevano perciò la funzione di ius proprium, che integrava nelle città e nei villaggi il diritto romano. In quest'ottica vanno considerati, oltre a quelli comunali, anche gli s. corporativi (V. anche CORPORAZIONI), che risposero al medesimo problema integrativo sul piano delle specifiche attività e della vita sociale dei loro aderenti. In età moderna il termine passò a indicare la legge fondamentale di uno Stato, più spesso definita come Costituzione (V.). ║ S. albertino: fu emanato il 4 marzo 1848 nel Regno di Sardegna, per la spinta dei moti risorgimentali (V. RISORGIMENTO), dal re piemontese Carlo Alberto. Questa Carta costituzionale fu redatta sulla base di quella francese del 1830, che a sua volta aveva attinto dalle precedenti della Monarchia inglese; essa si qualificava come “legge fondamentale, perpetua e irrevocabile della Monarchia”, con ciò stesso ripudiando il principio di sovranità assoluta e introducendo la superiorità della legge all'arbitrio del sovrano. Questa legge era declinata in 84 articoli raggruppati per argomenti, quali: forma del Governo, religione ufficiale dello Stato, prerogative e diritti del re, funzioni pubbliche, ecc. Lo S. fu poi esteso al Regno d'Italia e rimase in vigore (fatti salvi i consistenti interventi apportati con decreto legislativo nel 1946) fino al 1948, quando fu promulgata l'attuale Costituzione.

- Dir.

- Atto normativo fondamentale di un ente collettivo, sia esso pubblico o privato. Lo s. è espressione del potere che l'ente medesimo ha di definire le regole inerenti al proprio funzionamento, ai fini e ai mezzi della sua attività, ai diritti e ai doveri dei cittadini che vi aderiscono. Gli s. delle persone giuridiche sono fonte di diritto obbligatoria anche per coloro che entrino a far parte dell'ente dopo la sua costituzione e che quindi non abbiano partecipato all'approvazione dello s.

- Dir. internaz.

- S. personale: insieme delle norme che, in deroga al comune ordinamento giuridico, regolano i rapporti di diritto privato di una specifica categoria di individui, quella dei cittadini stranieri.

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